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EMOZIONE... Strumento di stimolazione nel malato di Alzheimer in fase avanzata


EMOZIONE… STRUMENTO DI STIMOLAZIONE NEL MALATO DI ALZHEIMER IN FASE AVANZATA

“E’ fondamentale entrare in comunicazione con l’ospite avendo profondo rispetto della persona”

 

“Il malato può perdere la parola, ma non perde il desiderio di espressione e comprensione; così, mediante la stimolazione neurosensoriale (visiva, uditiva, fisica, tattile, gustativa) si possono mantenere connessioni nervose scarsamente utilizzate e favorire lo sviluppo in una sorta di vicarianza funzionale”.

Il pensiero di Rita Levi Montalcini riesce a cogliere quello che noi con la nostra esperienza constatiamo giorno dopo giorno.

La riabilitazione è possibile solo se iniziamo a trattare questi malati non come individui incapaci di tutto, ma come persone in grado di sentire e provare emozioni che non vengono più comunicate in maniera facilmente intuibile. L’obiettivo principale di chi si prende cura di questo tipo di malato è promuovere il benessere della persona ottimizzando il suo stato funzionale ed emotivo consentendole una buona qualità di vita rispetto alla decadenza della malattia.

Le strategie riabilitative necessitano di un’attenta valutazione dello stato cognitivo e funzionale del soggetto per poter calibrare l’intervento con programmi specifici che hanno lo scopo di sostenere ed attivare quelle funzioni non completamente compromesse cercando di mantenere il più a lungo possibile il maggior livello di autonomia nelle attività di vita quotidiana. Ogni intervento richiede una conoscenza approfondita della vita di ciascun ospite al fine di creare un contatto emotivo ed affettivo che ci permetta di attuare proposte terapeutiche individualizzate.

I programmi proposti di volta in volta dovranno essere aderenti allo stile di vita della persona con demenza, nascere da una ricostruzione di abitudini e tradizioni proprie del malato: dovranno prevedere attività corrispondenti alle sue reali competenze e saranno articolate tra attività elementari (attività di base del quotidiano), attività relazionali (comunicazione, interazione e attività ludiche) e attività cognitive (ROT, Reminiscenza, validazione...). In ogni caso dovranno essere concepite come un’opportunità di intrattenimento e non come un obbligo; dovranno essere comprensibili e realistiche, non infantili, stimolanti ma non stancanti, rispettose dei tempi e dei ritmi propri di ogni singola persona. E’ fondamentale entrare in comunicazione con l’ospite avendo profondo rispetto della persona e non sottovalutando le sue esigenze, i suoi disagi le sue difficoltà. Sta a noi fornire il giusto canale di comunicazione dove possiamo avere silenzi che parlano, occhi che chiedono, mani che cercano di capire e conoscere ciò che sta intorno.

Nonostante sia prefissato un programma di attività, la spontaneità accompagna ogni situazione: sono proprio le semplici cose proposte con umiltà che consentono di ottenere piccoli risultati che se letti nel contesto di una malattia altamente invalidante sono di grandissima importanza.

Uno degli ostacoli più difficili da superare è la mancanza di iniziativa e motivazione: se chiediamo di svolgere un’azione semplice come battere le mani loro non lo faranno mai: ma se si riesce a creare una situazione in cui l’ospite si sente coinvolto attivamente, farà tale movimento anche senza richiesta.

Le attività di gruppo riescono a migliorare la motivazione e stimolano le persone alla socializzazione nonostante le gravi difficoltà di linguaggio che presentano negli stadi più avanzati della malattia. Ad esempio durante l’attività di canto, alcuni ospiti che non riescono più a parlare riescono ad esprimere le parole della canzone stimolati dal ricordo di brani a loro familiari. La Musicoterapia è un mezzo che favorisce le reazioni comportamentali, rafforza l’attenzione e la prontezza, facilita le interazioni e gli sviluppi di contatti sociali, stimola il movimento, consente l’espressione di sentimenti, maggiore consapevolezza e coinvolgimento.

La musica è capace di coinvolgere non solo chi vi partecipa attivamente ma anche coloro che si limitano a seguirne l’esecuzione creando un’atmosfera di gioia in grado di trasmettere benessere. Ad esempio una nostra ospite chiede spontaneamente di cantare insieme perché lei dice che quando canta sta bene.

Un’altra invece che non è più in grado di esprimersi verbalmente, quando vengono intonate le canzoni cambia espressione del viso e attiva una serie di movimenti spontanei del corpo come a tenere il tempo e mostra chiaramente quanto gradisca tale attività. Altre ancora quando vengono coinvolte con brani legati alla loro storia personale si commuovono innescando spesso tale reazione riflessa anche in noi operatori essendo la musica veicolo di emozioni profonde.

Oltre la musicoterapia esistono diverse tecniche di stimolazione cognitiva alcune privilegiate rispetto ad altre a seconda del grado di gravità della malattia e la possibilità di coinvolgimento dei pazienti. La terapia della reminiscenza viene utilizzata spesso per arricchire e stimolare il ricordo spontaneo. Si basa sulla teoria che il ricordo di esperienze passate abbia un ruolo positivo nella salvaguardia dell’autostima e dell’identità personale e riduce la depressione.

Una signora che non mostra interesse al lavoro di gruppo e presenta notevoli disturbi di ansia e agitazione attraverso l’ausilio del suo album fotografico riesce ad aprirsi agli altri attenuando notevolmente i propri disturbi. Viene utilizzata inoltre la terapia della validazione dove il terapista cerca di conoscere la visione della realtà dell’ospite e tramite la verbalizzazione dei sentimenti condivisi con gli altri componenti del gruppo si riesce a far recuperare l’autostima e la sensazione di essere accettato dal gruppo. Il rapporto empatico si rivela di grande aiuto ed è una risorsa in cui cerchiamo di avvalerci spesso, anche con risultati soddisfacenti.

A tale proposito ci viene in mente il gesto semplice ed intenso di un nostro ospite che comunica prevalentemente in modo non verbale e che più volte ci ha preso la mano per condurci dove voleva lui.

Ritornando al nostro specifico professionale possiamo affermare che la ricerca di una scelta di interventi significativi continua ad essere un nostro obiettivo che va sicuramente al di là della tecnicità e delle regole fisse. Per lavorare con questa tipologia di malato bisogna accendere il cuore: questo è l’unico modo che abbiamo a nostra disposizione per poter arrivare e comunicare sulla stessa frequenza del malato; dobbiamo essere noi ad entrare nel loro mondo, arrivando all'intelletto attraverso i sentimenti, compiendo all'inverso quello che comunemente è il processo conoscitivo. Riuscire a comunicare con un malato di Alzheimer significa amarlo: ci si può spogliare completamente, senza paura di restare nudi, perché anche loro sono nudi, hanno perso le loro difese e si mostrano come sono, in tutta la loro fragilità.

Sabrina Salvini e Giovanna Ciaramitaro - Terapiste Occupazionali

Pubblicato il: 30-01-2016 - Categoria : News